domenica 16 ottobre 2016

Be Here Now



Il taxi procede lento lungo la carreggiata di sinistra. "Non possiamo accelerare un po'? Perderò l'aereo". Il silenzio, lo sguardo nero dallo specchietto, poi di nuovo il silenzio, gli occhi si spostano, io vedo solo le sopracciglia, nere; l'ebano, l'India, il cumino. "Farò del mio meglio. Dove è diretta?" Lo sguardo dallo specchietto si sposta di nuovo su di me, faccio finta di non aver sentito, guardo fuori, piove, la metropoli illuminata lascia scie argentate sui finestrini, bagliori colorati, pennellate, a tratti violente, decise, a momenti confuse, incerte. Rispondo dopo più di un minuto, forse due, guardo di nuovo verso lo specchietto, ritrovo quegli occhi e dico "Per ora ad Orly, come le ho chiesto". Il dopo non può interessargli, sarà un addio, il nostro. Migliaia di taxi, non mi ritroverà più. Milioni di persone, ombrelli, corse ai semafori per non perdere la priorità, per non stare ad aspettare dall'altro lato della strada che arrivi il verde. C'è una città in Germania, Düsserdolf, nella quale qualcuno si è divertito ad attaccare un po' ovunque, fantasmini, esserini simili a quelli di Pacman. Sono proprio loro, con gli occhioni e senza bocca. Si trovano soprattutto vicino ai semafori, lungo i percorsi pedonali urbani di una città in cui tutti alzano il bavero presto, perché fa buio il primo pomeriggio, d'inverno, e bisogna correre sempre verso casa, per staccare, in attesa di un altro giorno in cui attraversare strade e ritrovare i fantasmini. Ci sono stata da bambina, ci sono tornata da studente, ci ho vissuto due mesi per un cambio di scuola, a Düsserdolf. Tu, occhi neri che mi osservi ogni tanto dallo specchietto, non lo sai, questo. Cosa te ne dovrebbe importare? Però, non so perché, te lo dico.
"Lo sa che in Germania, e precisamente a Düsserdolf, ci sono dei piccoli fantasmi sui muri, sui semafori o sui pali della luce?". Mentre lo dico indico fuori dal finestrino, cosa non so, vedo poco, ci sono le gocce di pioggia iridescenti che mi impediscono di mettere a fuoco, che modificano la realtà, che allungano curiosamente le traiettorie, gli alberi, i pali.
"Come, scusi?", mi risponde. Il telefono vibra nella borsa, ma a me preme più che occhi neri capisca che in quel momento io sto pensando a quei tre mesi in cui ho fatto un cambio di scuola, per imparare il tedesco. Che non ho mai veramente imparato. E lo sai perché no? Perché lo amavo troppo, io, il tedesco. Quindi mi intimidiva tutta quella bellezza linguistica, tutta quella coerenza, precisione e logica. Riuscivo a studiarlo, ma non a parlarlo, come le cose preziose che osservi, ma che non usi.
"Io preferisco l'inglese" risponde subito occhi neri "è malleabile, è nella musica, lo capiscono tutti...il tedesco, per carità, a cosa serve?".
Il taxi si ferma, guardo l'orologio, è tardissimo. Scendo senza aprire l'ombrello, mi sembra che manchi il tempo anche per un solo movimento in più. Occhi neri mi aiuta a prendere il trolley, poi mi porge la mano. Lo guardo incuriosita "baciarti non mi sembra il caso, quindi mi piacerebbe stringerti la mano" mi dice. Mi aggiusto la gonna, mi stringo la cintura dell'impermeabile, afferro il trolley, e me ne vado indispettita. Solo perché mi sono confessata un po' con la storia dei fantasmini tedeschi, cosa credeva? Che potevamo...ma pensa te. Che sfacciato, ma poi può essere mio figlio...no, forse figlio no, ma fratello minore, cugino, cuginetto, che ragazzino stupido. Però in fondo voleva solo stringermi la mano. Torno indietro, lungo il marciapiede, accelero il passo, faccio cenno al taxi che sta per andare via. Si ferma, gli busso sul vetro del finestrino e alzando la voce, dico "va bene, diamoci la mano!". Occhi neri mi guarda senza abbassare il finestrino, intanto mi bagno, i capelli, sicuramente mi cola il mascara, sarò un disastro, sono anche in ritardo, diamoci la mano, abbassa questo finestrino, non ho bisogno di altri sensi di colpa, ne sono già fornita, capiscimi occhi neri, non farmi sentire una stronza, non sono peggio di te, non sono neanche meglio e pazienza se ti piace più l'inglese, ma abbassalo e dammi questa mano.
"Allora che facciamo, me la dai la mano?" Lo vedo parlare, mi dice qualcosa che non capisco "non ti sento! va bene, ciao!". Scende dalla macchina e mi dice "Stavo dicendo che non ti dovevi disturbare, ti piacciono gli Oasis?" Si abbassa verso il sedile e tira fuori un cd "No no, grazie, non voglio regali, diamoci la mano che sto per perdere l'aereo, seriamente, sei gentile, ma non mi regalare niente, salutiamoci." Mi chiede quando torno a Parigi, niente strette di mano, vado via, avevo solo bisogno di non sentirmi in colpa.
In volo mi guardo nello specchietto che tengo in borsa: un disastro, appunto, come sospettavo. Mi rilasso, la stanchezza e la tachicardia scivolano lungo il sedile. Nel rimettere lo specchietto in borsa vedo il cd. Be Here Now. Pazienza, non è neanche il migliore, ma poteva andare peggio. Poteva essere Standing On The Shoulder of Giant.

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