mercoledì 22 maggio 2013

Invidia, ma di quella buona, però.



Quando i miei amici hanno saputo che avrei trascorso più di una settimana senza figli & marito in Norvegia, si sono sprecati i commenti del tipo fuuuuuuuuuuurba leeeeei /ma che cuuuuuuuuuuuuuuuloooooo / voglio venire anch'iooooooooooo /chissà che robeeeeeeeeeee.
Questo post è per spiegare quanto l'invidia (sana o meno) faccia malissimo a chi la prova, ma soprattutto a chi la riceve.
Stavanger è una piccolissima cittadina sui fiordi, apparentemente innocua, paradisiaca. In realtà è molto altro. E' come quei paesini illustrati nelle fiction italiane, dove sembrerebbe tutto normale e noioso, non fosse per gli omicidi, i tradimenti, gli incesti, il traffico di droga, le rapine a mano armata e la prostituzione.
Stavanger è capitale europea della cultura, qui sono nate band tipo i Sirenia (e questo la dice lunga), ma non solo; è sede delle principali società petrolifere, tra le quali Statoil. Quindi cosa si trova a Stavanger? Di tutto. Dall'artista tormentato molto gothic, al manager, al geologo (categoria apprezzata dalla sottoscritta) fino ad arrivare al pescatore di aringhe, al pianista jazz o al metallaro di ritorno. C'è più varietà sociale qui che a Oslo, eppure sono (siamo) in quattro gatti e tre stoccafissi.
Spiego questo ai miei amici: i commenti di cui sopra aumentano con intensità esponenziale e l'invidia cresce.
I primi giorni sono stata in albergo, e forse non tutti sanno che stare in albergo qui, non è come stare in albergo da altre parti. Qui non si sente niente. E quando dico niente, intendo dire niente. Provate ad immergervi sott'acqua in una piscina senza anima viva, e rimaneteci 8, 9 ore. Ecco, state simulando una nottata/giornata in albergo a Stavanger. Non si sentono neanche gli spostamenti d'aria quando aprite la finestra. Una situazione amniotica, prenatale. La prima notte è stata insopportabile, sono dovuta scendere al bar alle due perché avevo bisogno di udire qualcosa di umano. Ho trovato il barista muto. Spostava i bicchieri senza fare rumore. Mi hanno spiegato che le stanze sono insonorizzate. Esperienza da non ripetere.
Il primo giorno di lavoro è stato meraviglioso: ho ritrovato alcuni colleghi, il solito Babbo Natale mio vicino di scrivania. Per chi non lo sapesse, è un bel vichingo corpulento, barbuto e silenzioso, che io ho amato alla follia d'un amore unilaterale. E' fidanzato con un tipetto magro magro e piccolino, che è la metà di lui. L'ultimo giorno di lavoro, l'anno scorso, dopo mesi di quasi silenzio, mi ha regalato un sorrisone, un bacio appiccicoso di Coca Cola e due guance in fiamme. Ho capito che l'amore era corrisposto e mi sono anche commossa. Quest'anno è più loquace, al suo Good morning aggiunge un Nicole, che è il corrispettivo mediterraneo di 'Buongiorno bella ciaciona mia vieni accà caciottella di latte fresco metemagnerei, ti voglio bene tantotanto'. Ci vogliamo bene, è appurato. Mi ha persino invitato a cena stasera.
Lavorare in Comune, intendo per i dipendenti normali a tempo indeterminato, non è come lavorare in Comune in Italia, chiaramente. Qui a lavoro puoi anche non venire, puoi startene a casa con i tuoi bambini, se vuoi. O in palestra a fare addominali. Perché il lavoro è telematico. Una ragazza con tre figli piccoli, ieri mi ha raccontato che lavorando ha fatto la torta di mele. Conta ciò che fai, non in quanto tempo lo fai o dove lo fai. Va beh, altro mondo.
Ho passato molte serate e pomeriggi a ristudiare Proust, perché è l'argomento principe di questi mesi ed ho scoperto che non sono più abituata a stare ferma sui libri, mi viene l'esaurimento, sbrocco e graffio come un gatto isterico. Per fortuna ho due amiche come me, una spagnola e un'altra francese, anche loro impegnate nello studio e anche loro schizofreniche. Solo che loro sono libere, quindi mi propongono serate improponibili ad una donna sposata con figli, che io ho accettato una volta sola perché mi sono detta 'va beh, mi farò i cacchi miei, mi porterò un libro'. Il libro non l'ho letto, però ho osservato.
Gli uomini norvegesi sono di due tipi. Quelli che aspettano te, ma non ti guardano e quelli che aspettano te, guardandoti. L'iniziativa la prendono le donne soprattutto, me l'hanno spiegato perché io sono mentalmente in ritardo in materia sociale. Sono sempre uscita in compagnia e non ho mai fatto caso a usi e costumi dell'abbordaggio norvegese. Evidentemente sono capitata male, perché nel locale ho beccato l'unico italiano che c'era. Uno di Tropea ciucco come un salmone al rhum, che mi ha alitato in faccia a un millimetro dal naso 'uats ioooor neiiim biutiful gherl?', mandato a cagare in italiano dopo due minuti, per sentirmi dire 'potevo rimanermene a Tropea...'. Poera stella.

Gli occhi dei 'norvegesi che guardano', sono terribili. Di una profondità strana, in cui la solitudine e il malessere di vivere si incontrano in una danza rassegnata, dove mente e fisico si devono adeguare a sei mesi di buio, interiore ed esteriore, e a sei mesi di luce maleducata che non ti lascia tempo di riposare. Dove gli incontri sono solo piccole oasi dalle quali ripartire il giorno dopo, per trovarne delle altre in cui provare pace, un briciolo di serenità momentanea. Corpi e teste che escono fuori di casa solo per entrare nei pub, per bere sino ad annientare i pensieri, sino a ridurre la dimensione umana che imprigiona gli sguardi. Per liberarne altri, freddissimi in attesa di essere scaldati da luce vera. Non è disinvoltura, non è spregiudicatezza o libertà, è solo ricerca di pace. E' bisogno di verità.

I was in Strasbourg last year, very nice town. Come to my place, I've a Jacuzzi on my balcony.



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